09 Mar
09Mar

Ogni individuo ha in sè un intuitivo senso del proprio essere, del proprio valore. Ogni persona percepisce, prima ancora di pensarlo in termini razionali, il proprio sentimento di "andare bene" così com'è, oppure di "non andare bene". Non ha alcuna rilevanza se si abbia successo nella vita, se si siano raggiunti obbiettivi invidiabili, come fare figli, avere un lavoro onorevole, disporre di una certa immagine sociale o avere una relazione affettiva soddisfacente, ecc...

Indipendentemente dai raggiungimenti la persona può sentirsi inadeguata, fallita, incapace. E' vano ciò che si è raggiunto, quanto si è realizzato non conta più nulla e prevale l'angoscia per ciò che non si è fatto. A poco valgono gli incoraggiamenti delle persone vicine, che  con autenticità e affetto vorrebbero restituire alla persona l'immagine buona che essi stessi vedono: la sua autosvalutazione non le consente di ammettere il proprio valore, di accettare un complimento, riconoscere un lavoro ben fatto, di lasciar scendere nel cuore una carezza. La persona soccombe sotto il peso impietoso del suo stesso giudizio, con il quale può giungere a farsi a pezzi. 

Il pensare di "non essere abbastanza" è certamente molto comune. Potremmo anzi pensarla "problematica" una persona che non l'avesse mai sperimentato nella propria vita. Ma perché (ci) accade questo? Perché questo vortice di pensieri negativi sul proprio valore? Una risposta esausitva che accomodi ogni contingenza individuale certamente è impossibile, e volerla trovare ci farebbe cadere in banali superficialità. 

E' possibile però - e direi più precisamente verosimile - che esperienze precoci con figure di attaccamento all'interno della propria famiglia abbiano costituito il nocciolo della questione: lo sgurdo torvo e giudicante di un padre insoddisfatto e lontano, le parole taglienti di una madre, il dover essere perfetti, educati, forti, non poter chiedere liberamente, non potersi avvicinare, toccare, fidare, non avere un valore per qualcuno, sentire di non appartenere o di non potersi allontanare... Ma anche "l'aver perso qualcuno", in senso fisico concreto o semplicemente "aver perso il suo amore"... non sono che pochi esempi di una serie infinita di esperienze nelle quali fallisce la buona relazione con un altro/a e così anche il senso di sè stessi. 

E' così che, lentamente, prende piede la sottile e serpeggiante convinzione di non valere abbastanza, e che per questo motivo non saremo mai davvero amati. Non si merita l'amore, non c'è speranza di essere desiderati per chi si è, e la vita perde colore, vigore, soddisfazione e movimento. In una parola "la vita perde sè stessa, cioè perde vita". Si fa grigia, triste, insoddisfatta, malinconica, a volte disperata.

Ma attenzione... Potremmo immaginarci una persona del genere come una persona dal carattere triste e ritirato, una persona asociale o apatica... E invece in moltissimi casi si tratta di persone estremamente attive, dai grandi traguardi, che appaiono soddisfatte e molto socievoli. A volte sembrano così arrivate che diventano addirittura invidiate dagli altri. Per citare un estremo, potremmo pensare a tanti famosi artisi che dopo aver raggiunto ricchezza, fama, successo, relazioni invidiabili, posizioni di potere, sono finiti nella tossicodipendenza e sono infine morti suicidi dopo lunghi anni di depressione: come se il tarlo dell'angonscia di non valere e del non senso della vita li avesse dapprima spinti a raggiungere mete ideali e gloriose, per poi infine prevalere e condurli ad un finale tragico.

Quando si ha un senso positivo del proprio valore e delle proprie relazioni, la vita è percepita bella sempre, in ogni momento, anche nelle difficoltà. Non si sente la necessità di dover essere di più per trovare pace con sè stessi. Coltivare il senso del valore di sè e il senso del valore degli altri è indispensabile per vivere una vita piena, appagante, soddisfacente, pur nel continuo e fisiologico desiderio di migliorarsi. Una vita che può essere fatta di cose molto semplici o di grandi eventi, di raggiungimenti ordinari o di cose estraordinarie, ma sempre vissuti nel riconoscimento del proprio valore, della bellezza della propria vita e di quella degli altri.


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