20 Aug
20Aug

Il bisogno di sentirsi coinvolti in relazioni importanti è potentissimo, ed è un bisogno naturale e buono.

Eric Berne definiva Bambino Libero la funzione del bambino che mette in atto spontaneamente attività indipendenti e autonome di intrattenimento. In questa fase il bambino è dunque "libero di essere sé stesso": non si percepisce, né si comporta in soggezione, in adattamento ad altre persone che possano esercitare influenza sul suo modo di sentirsi e di comportarsi. Quando il bambino si trova in questa funzione sperimenta gioia, soddisfazione per la vita, interesse, curiosità, fiducia, piacere di muoversi nello spazio, di giocare, di saltare e di stare nel mondo in relazione con gli altri. 

Il Bambino Libero non cessa mai di esistere dentro di noi, durante tutte le fasi della nostra vita, mostrandosi in svariati modi: godere allegramente di una cena con amici, mentre si dà spazio a una propria passione, relazionandosi con spontaneità con un partner amato, dando spazio e rilevanza alle proprie caratteristiche e talenti naturali, ecc... Ogni volta che "siamo nel Bambino Libero" ci sentiamo pieni di energia, soddisfatti e soprattutto spontanei.  

Tuttavia, prima o poi, accade a ogni individuo di sentirsi non amato o rifiutato per come egli o ella è, fin da quando è molto piccolo. Per reale o percepita che sia, tutti quanti facciamo la dolorosa esperienza di "non andare bene" per come siamo. L'esperienza può essere talmente dolorosa che piano piano ci adattiamo a diventare ciò che non siamo veramente, pur di mantenere un rapporto, una parvenza di sicurezza con le persone vicine a noi. Da bambini, senza neppure accorgercene, facciamo una serie di tentativi, spesso con sforzi penosi, per trovare il modo di sentirci accettati e al sicuro nella relazione: accettiamo divieti genitoriali, obbediamo a ordini, crediamo a definizioni, per svalutate che siano, che genitori (nonni, insegnanti, ecc...) fanno e danno su di noi. 

L'esito della modifica dei sentimenti interni e dei comportamenti sotto le influenze genitoriali sono alla base della formazione del Bambino Adattato (Berne, 1961). Anch'esso convive con noi per tutta la vita, (o fino a quando non viene "preso in cura"): l'abitudine di adattarci può diventare talmente pervasiva che la nostra nuova identità (quella adattata) viene percepita come quella vera, persino da noi stessi. Possiamo diventare talmente disabituati a sentirci e viverci per come siamo veramente, che diveniamo incapaci di capire di che cosa abbiamo bisogno, che cosa desideriamo veramente, cosa ci renderebbe felici...

Particolarmente (ma non esclusivamente) per le personalità che si sviluppano in senso dipendente, l'abitudine ad essere "come l'altro/gli altri lo vogliono" diviene la normale esperienza quotidiana: si perde il senso di ciò che si desidera spontaneamente (o si ha paura di desiderarlo per davvero), la fiducia in sé stessi; si ha la sensazione di non andare bene per come si è e si ha il senso di doversi sforzare per essere amati o per lo meno accettati, comportandosi in un modo che si ritiene essere quello atteso dall'altro. Tutta la vita, la giornata, può divenire uno impegno continuo per "stare a galla", per non sprofondare nella paura del rifiuto, dell'abbandono, nell'angoscia della solitudine senza rimedio.  

"Sarò come tu mi vuoi..." sembra essere il postulato di base con cui la persona adattata costruisce e vive le relazioni, spinta dalla paura più o meno consapevole (ma spesso del tutto inconscia) della solitudine disperata, del rifiuto e dell'abbandono. 

"...così mi amerai..." è ciò a cui il cuore anela, il nutrimento di cui ha bisogno per sopravvivere; la linfa che, flebilmente, nutre una anemica speranza di salvezza da un mondo temuto e vissuto come solitudine, lontananza, assenza. La presenza dell'altro/a è dunque ancora di salvezza, mezzo di sopravvivenza, porto di riparo sicuro in uno sconfinato mare dai cupi orizzonti. Presenza dunque da preservare ad ogni costo, al prezzo anche del sacrificio di chi si è veramente, della propria vita, della propria identità, nella disperata speranza di essere "come tu mi vuoi". 

E' possibile dunque ritrovare l'autenticità di sé stessi senza perdere l'altro? Si può essere davvero chi si è ed essere amati lo stesso e senza paura, senza maschere e artificiosi adattamenti? Si può, in sostanza, concedere energia al Bambino Libero presente in noi, senza la paura che questo sia rifiutato, abbandonato o ferito?

L'argomento è vasto, sempre aperto a infiniti punti di vista, confronti , discussioni... e a qualche considerazione clinica. 

Avanti dunque ai confronti e spazio a riflessioni nei post successivi...

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