Dott. Antonio Dematteis
Psicoterapeuta

Analista Transazionale Certificato
C.T.A. - European Transational Analysis Association

Ritrovare sé stessi, la strada di casa
Ricominciare da dove ci siamo smarriti
L'incredibile viaggio dentro di sé, alla scoperta di paesaggi impensati

Psicoterapia è...

Psicoterapia è iniziare un viaggio alla scoperta di sè stessi. E' scoprire a che punto della nostra storia e in che modo abbiamo smarrito la strada che ci porta a sentirci soddisfatti, a essere spontanei, vitali e a sentirci in armonia con noi stessi e con gli Altri importanti della nostra vita. E' comprendere come ci siamo bloccati nella sofferenza e ritrovare la strada che ci riporta verso di noi. Psicoterapia è sentirsi capiti, accompagnati a comprendere i conflitti interiori che ci impediscono di prendere una decisione, di cambiare qualcosa che non ci piace più, di dire addio a chi ci ha lasciato per ritrovare la nostra armonia, di vedere una situazione con occhi nuovi o di iniziare una nuova avventura. Psicoterapia è scoprire paesaggi impensati dentro di sé, anche se in fondo sempre conosciuti. E' ritrovare l'armonia e la vitalità perdute di un tempo, quelle che almeno una volta, per quanto siamo stati sfortunati o traumatizzati, abbiamo sperimentato quando eravamo bambini, e alle quali desideriamo tornare con tutto il cuore. Psicoterapia è ritrovare quell'energia vitale che c'è in ognuno di noi, che ci spinge a muoverci nel mondo, a decidere, a desiderare, a esplorare le meravigliose opportunità che la vita ci riserva sempre. E' ritrovare la propria autonomia, fatta di intimità, spontaneità e consapevolezza. Psicoterapia è un viaggio. Lungo, corto, dolce, amaro, emozionante, spaventoso, doloroso, bellissimo. Un viaggio che non dimenticheremo mai. Psicoterapia è danzare: avvicinarsi, sfiorare, sentire, comprendere, allontanarsi. Piangere, ridere, ritrovare il ritmo, ripartire a tempo. E poi salutarsi. Buon viaggio a tutti! Antonio Dematteis




Il mio profondo interesse per l'essere umano in tutte le sue sfaccettature ha spinto il mio lungo percorso di formazione, a partire dalla Laurea in Medicina e Chirurgia nel 2003 (110/110 e lode, con dignità di stampa).
Il desiderio di studiare la sofferenza umana, comprenderla, curarla, esplorarne le radici, le motivazioni e le modalità di esplicitarsi, ha guidato le molte e variegate esperienze che hanno caratterizzato i miei anni di formazione. Al termine della mia prima specializzazione in Medicina d'Urgenza, ho iniziato una lunga fase di collaborazione in progetti nei Paesi in Via di Sviluppo (Tanzania, Sud Africa, Burundi, Papua Nuova Guinea) durata circa 6 anni, dove mi sono occupato di persone in un contesto di povertà economica e culturale, proponendo e seguendo progetti di sviluppo delle potenzialità umane, in ambito educativo ed economico oltre che dell'aspetto medico.

Fin dai primi anni di studio ho verificato e apprezzato come il corpo, la mente e lo spirito siano "ingranati" in un insieme unico, inscindibile. Non vi è sofferenza corporea senza un rispecchiamento psichico, così come non vi è sofferenza psichica senza un corrispettivo fisico, che si rifletta in sintomo psicosomatico (tachicardia, difficoltà a respirare, cefalea, cervicalgia, difficoltà nella digestione, insonnia, affaticabilità, stanchezza cronica, tensione muscolare, dolore addominale, vertigini, ecc...) o che emerga come atteggiamento corporeo/comportamentale inconscio (espressione del viso e degli occhi, postura, andatura, tono della voce, vocabolario utilizzato, stretta di mano, rigidità muscolari, ecc...).

Durante le variegate esperienze umane e lavorative e durante la mia pratica clinica come medico, a mano a mano ho compreso sempre di più quanto il mio interesse fosse prevalentemente orientato verso la comprensione delle dinamiche profonde delle persone: la sofferenza interiore, la storia unica di ognuno individuo, i blocchi psicologici che impediscono alla persona di vivere in pienezza la propria vita e che determinano il permanere in situazioni di sofferenza interiore e di comportamenti che non solo non aiutano a uscirne, ma possono accelerarne un inconsapevole processo di autodistruzione.

La profonda compassione e amore per la cura di queste situazioni dolorose mi hanno spinto a diventare psicoterapeuta.
Il lungo e meraviglioso percorso formativo in Analisi Transazionale è stato (e sarà sempre, perché di imparare non si finisce mai!) campo di esperienze profonde e indimenticabili di analisi personale, di scoperta di sé, di legami profondi con tanti compagni di viaggio, di elaborazione di capacità personali relazionali; ma soprattutto è stato il meraviglioso inizio della comprensione di un modello teorico e di intervento che permette di comprendere approfonditamente il funzionamento intrapsichico e relazionale della persona, di analizzare le radici della sofferenza e i conflitti interiori che fanno permanere in situazione di dolore senza uscita. 

Un incontro profondo, unico, personale, dove ci si scambia e si impara l'uno dall'altro. Un pezzo di strada che non si dimenticherà mai.


Nella mia pratica clinica mi occupo prevalentemente di:


  • Problematiche relazionali (difficoltà a stabilire e/o mantenere rapporti di coppia, conflitti relazionali, crisi di coppia o familiari, elaborazione di fine relazione,  sostegno alla genitorialità, elaborazione di lutti) 
  • Disturbi depressivi, correlati o meno a situazioni specifiche di vita 
  • Disturbi ansiosi (attacchi di panico, disturbo d'ansia generalizzato, fobia sociale, fobie specifiche, ansia di separazione, agorafobia, ecc...)
  • Disturbi di personalità (schizioide, shizotipico, paranoide, borderline, narcisistico, istrionico, antisociale, ossessivo compulsivo, evitante, dipendente).
  • Disturbo ossessivo compulsivo
  • Dipendenza affettiva e "Love Addiction"
  • Dipendenza da sostanze di abuso (alcol, psicofarmaci, eroina, cocaina, cannabis, ecc...)
  • Dipendenze comportamentali (gioco d'azzardo, shopping compulsivo, dipendenza da internet...)


Di cosa mi occupo image

La relazione costituisce una motivazione fondamentale all'esistenza di ogni individuo. La costituzione genetica del genere umano prevede che ogni persona abbia un bisogno irrinunciabile di stabilire relazioni umane intime e intense. Eric Berne, fondatore dell'Analisi Transazionale chiamava tale spinta "fame", sulla base di studi che dimostravano che durante la seconda guerra mondiale i molti bambini orfani, sebbene correttamente nutriti, si ammalavano, crescevano meno degli altri, e spesso si annichilivano e morivano perché gravemente deprivati di relazioni intense significative, fonti di stimoli, carezze e riconoscimenti. "Fame" dunque, come la fame fisica, indice di mancanza di nutrimento e pericolosa per la vita. Così come per la fame di nutrienti dunque, la deprivazione di relazioni significative ci porta ad ammalarci, anche gravemente. Per questo motivo ognuno di noi è guidato da una forza naturale interiore che lo spinge a mettersi in cerca di relazioni che lo nutrono, che conferiscono significato e valore alla vita, che la rendono bella, intensa e piena di soddisfazione e progettualità.
Ci rendiamo conto dell'intensità della fame di relazioni quando siamo in cerca di un/a partner che da tempo non troviamo; o quando si creano fratture con persone importanti della nostra vita; o, ancora, quando perdiamo la persona amata, per tradimento, per un incidente o per una malattia: il dolore che ci assale può essere lancinante, intollerabile, e ci sembra di non poter sopravvivere senza quella persona.


La prime relazioni intense, la cui impronta ci influenzerà per tutta la vita, sono quelle con i nostri genitori e/o con chi si è occupato di noi quando eravamo piccoli: nonni, zii, fratelli, insegnanti. E' durante questa fase di vita che, senza che neanche ce ne accorgessimo, imparammo modelli relazionali che riproponiamo, del tutto inconsciamente, con persone che ci stanno a fianco nella nostra vita presente.

Ognuno di noi sperimenta tensioni, frustrazioni, incomprensioni nella propria vita affettiva. La relazione, seppur così tanto desiderata anche quando vorremmo farne a meno, può divenire il luogo dei nostri dolori più profondi, nucleo che coagula pensieri, preoccupazioni, emozioni, comportamenti che sconvolgono, feriscono, talvolta uccidono. L'amore, che tanto desideravamo, è diventato strumento di supplizio, stanza di solitudine, porta della disperazione, luogo di violenza verbale o fisica.

Alla base di qualsiasi sintomo psichico, sia esso ansia, depressione, disturbo del pensiero e/o della condotta, disturbi dell'alimentazione, ci sono sempre fallimenti delle nostre relazioni più importanti, che nella maggior parte dei casi sono avvenute in quella parte della nostra vita di cui spesso ricordiamo poco o nulla. La mancata comprensione di un bisogno, lo sfruttamento emotivo o l'abuso, l'indifferenza di cui fummo vittime, sono spesso alla radice delle problematiche relazionali di oggi.


Spesso ci accorgiamo che litighiamo sempre nello stesso modo, che le nostre relazioni terminano in modi che si assomigliano sempre, che scegliamo partner che ci ripropongono sempre gli stessi fallimenti, gli stessi abusi, gli stessi tradimenti o le stesse violenze. Oppure, molto più semplicemente, constatiamo ogni volta che non riusciamo a innamorarci, che fuggiamo le relazioni quando si presentano, che non riusciamo a godere di una intimità sessuale soddisfacente, o che ci rintaniamo in un sicuro isolamento nonostante avevamo tanto desiderato una relazione. Altre volte vorremmo lasciare un partner che ci ha ferito o che non desideriamo più nella nostra vita e non ce lo permettiamo, non ne abbiamo il coraggio, rimanendo in una relazione logora che svuota la nostra vita della bellezza, dell'armonia e della gioia di cui ogni uomo e ogni donna ha bisogno e diritto.

Occorre dunque fare luce, diventare consapevoli di come ci impediamo di scegliere un partner migliore, di come arriviamo sempre a ripetere gli stessi errori, a litigare nello stesso modo. Occorre sperimentare nuove strategie per diventare efficaci nel comunicare, nell'esprimere i nostri desideri e bisogni, nel comprendere l'altro, nel trovare un modo comune di stare insieme che tenga conto della libertà e della responsabilità di ognuno e del suo diritto ad essere ciò che è in una relazione paritaria, dove ognuno si sente adeguato.
Occorre ritrovare il "Bambino Libero" che c'è in ognuno di noi, che magari abbiamo rincantucciato in qualche angolo angusto della nostra vita, dandogli spazio di espressione e spontaneità all'interno di una relazione in cui possa sentirsi al sicuro.

Ogni individuo nella propria storia deve passare per una dipendenza sana: quella con la propria madre (o di chi ne ha fatto le veci), che con amore e gradualità accompagna il figlio verso il normale processo di separazione-individuazione, che a sua volta consentirà al bambino di imparare a stare in una relazione intima conservando la propria autonomia e il senso della propria identità. Solo in questo contesto l'individuo diviene capace di amore maturo, che si realizza nel concetto sano di "interdipendenza": ci si sente reciprocamente adeguati, capaci di vivere in autonomia e in relazione allo stesso tempo. Si conserva un forte senso di sé così come di responsabilità e compartecipazione alla relazione.

Ci sono infiniti modi in cui questo processo naturale può naufragare, esitando in situazioni di dipendenza affettiva che può manifestarsi a diversi livelli di intensità e di gravità.

Ad un polo di questo panorama psichico vi è chi "pretende" che la propria relazione sia sempre sulla cresta dell'onda: desidera ossessivamente provare l'adrenalina della prima volta e non tollera che il sentimento di sé o dell'altro possa subire le normali fluttuazioni di ogni relazione. Si ritrova pertanto a monitorare compulsivamente la qualità del proprio sentimento e di quello dell'altro, provando vissuti d'angoscia quando percepisce la "non totalità" dei sentimenti. La dipendenza dal sentimento d'amore (più che dalla persona amata), può essere alla base dell'instabilità nelle relazioni e della continua ricerca di un nuovo partner, con cui stabilire l'amore perfetto idealizzato.

Ad un altro polo, vi è chi dipende patologicamente dalla persona amata. Il mondo va impoverendosi di rapporti sociali e istituzionali su cui poggiarsi con fiducia e l'ambiente è caratterizzato da cambiamenti che si susseguono con vorticosa rapidità. Appare minato il senso di sicurezza gli individui, che possono sperimentano ansia, difficoltà nel comprendere la propria identità e nel rapportarsi con un sistema perennemente in cambiamento. L'insicurezza economica, la mancanza di certezze lavorative e di prospettive future solide e serene inaspriscono ulteriormente il senso di estrema fragilità con cui si percepisce un numero sempre maggiore di persone.

In questo contesto di fragile incertezza esterna e interna, cresce il bisogno di "affidare" la propria vita a qualcosa o a qualcuno, per sfuggire al sentimento di vuoto e di mancanza di significato e nutrimento. Ecco che la relazione diviene luogo privilegiato dove l'individuo, smarrito e in cerca di sé, cerca consolazione del proprio esistere. Disinveste pertanto nella stima di sé stesso/a, che percepisce come fragile, incapace di stare al mondo e suscettibile di essere spazzato via da ogni forza esterna, e idealizza l'altro/a, fonte di sicurezza, di salvezza, percepito come unico porto sicuro della propria esistenza. 

Al di fuori della relazione (di "quella" specifica relazione) l'individuo si sente perso: ha la sensazione di non poter sussistere do solo, di non avere le capacità di farcela in un mondo difficile da affrontare, ostile. Si sente come un fiore reciso, incapace di vivere separatamente dalle proprie radici: al di fuori di quella relazione c'è la morte. Ne risulta che il bisogno, l'attaccamento pazzo e disperato diviene indispensabile, unica speranza di sopravvivenza. L'individuo è pronto a tutto pur di non perdere quel filo che lo mantiene in vita. Pronto anche a sopportare violenza, insulti, minacce, trascuratezza, umiliazione. Schiaffi, insulti e maltrattamenti lo fanno sentire vivo, lo fanno sentire esistere, sebbene a caro prezzo. Ma questo prezzo pare ben pagato a fronte dell'oceano di disperata solitudine e dell'angoscia di non esistere prefigurata all'idea di perdere l'amato o l'amata.

Uscire da una dipendenza affettiva che può caratterizzare un'esistenza profondamente infelice è possibile, ritrovando con gradualità e sostegno il senso di sé, la capacità di stare al mondo e riscoprendo le convinzioni inconsce alla base della svalutazione di sé stessi, il proprio valore, il proprio diritto ed il piacere di essere ciò che si è ed il calore di essere amati per come siamo.



Clinicamente l'ansia viene  definita come la paura in assenza di un pericolo oggettivo. Chi soffre d'ansia spesso non sa definire quale sia il reale pericolo, ma sente di stare male, di aver paura, di non sentirsi al sicuro, e di avere la sensazione che qualcosa di spiacevole, terribile, stia per accadere e di non potere fare nulla per evitarlo e per evitarne la sensazione. Spesso si mettono in atto penosi sforzi per contenerla o evitarla, ottenendo risultati a caro prezzo che generalmente durano poco.  

L'ansia è frequentemente associata a tensione muscolare,  sintomi autonomici (tachicardia, respirazione superficiale e frequente, sudorazione, vertigine) o sintomi somatici, come sensazione di respiro incompleto o bloccato, nausea, dolori addominali, stomaco chiuso, sensazione di gola che stringe, mal di testa, cervicalgia. Chi soffre d'ansia spesso sente di non avere il controllo della propria mente e/o del proprio corpo, che avverte come pericolosi, insicuri.  Anziché percepiti come fedeli compagni del proprio esistere, mente e corpo vengono vissuti con sospetto e preoccupazione, fonti di inaspettate e pericolose sorprese.

L'impossibilità di controllare ciò che accade nella propria mente genera un senso di più o meno perenne di attesa preoccupata che qualche sensazione o sentimento spiacevole possa verificarsi all'improvviso, senza che ci si possa opporre. Si vive un'angosciosa sensazione di impotenza e di oppressione, che può esitare in un vero e proprio stato di panico. Allo stesso modo si può temere che il proprio corpo non reagisca correttamente, che possa ammalarsi e morire. Per questo motivo ogni sensazione corporea viene percepita con allerta, nell'angoscioso sospetto di avere una malattia grave o di essere in procinto di morire. 

In determinati periodi della vita queste sensazioni possono condurre a veri e propri attacchi di panico (o a temere che si verifichino da un momento all'altro): brevi e intensi episodi ove si sperimenta un imminente e incontrollabile paura di morire, nella convinzione che il proprio cuore stia impazzendo, o che non si possa raccogliere aria nei propri polmoni, e ci si sente completamente sovrastati dalla perdita del controllo. Si ha intenso timore che gli altri se ne possano accorgere si prova in intenso senso di vergogna e il desiderio di allontanarsi da situazioni un cui si può essere visti. Spesso si ricerca la costante presenza di una persona fidata da cui si inizia a dipendere e da cui non ci si vuole mai allontanare, e si vive l'angosciante sensazione di non potercela fare da soli, con correlati sentimenti di auto svalutazione e di colpa.  

Situazioni meno gravi di sindromi ansiose possono coinvolgere la paura di perdere il controllo di sé, paura di perdere una persona significativa (per morte o allontanamento); di perdere l'amore di una persona importante, sentimento avvertito come abbandono, rifiuto, accompagnato da rabbia, ansia, depressione, colpa, inadeguatezza e di non essere in grado di essere amati; paura di perdere l'approvazione della propria coscienza e degli altri, che esita in colpa, vergogna e depressione. 

 Il DSM-5 (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) e il PDM-2 (Manuale Diagnostico Psicodinamico) definiscono una varietà di disturbi ansiosi con caratteristiche specifiche: tra questi ricordiamo il disturbo d'ansia di separazione, il mutismo selettivo, le fobie specifiche, il disturbo d'ansia sociale (fobia sociale) , il disturbo di panico, l'agorafobia e il disturbo d'ansia generalizzato. 

I disturbi ansiosi sono frequentemente correlati a sintomatologia depressiva, a disturbi sessuali, agli attacchi di panico e ad alterazioni del comportamento alimentare.





La depressione è una delle manifestazioni psichiche più comuni, annoverata tra i Common Mental Disorders (insieme ai disturbi ansiosi e ai disturbi di personalità) e la percentuale di persone affette sembra in aumento in tutto il mondo, tanto da influenzare i programmi dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Se hai deciso di leggere queste righe è possibile che tu ti stia interrogando sui tuoi sintomi per verificare se ne stai soffrendo; oppure già sai di esserne affetto, ci stai lottando da tempo e stai cercando una soluzione per venirne fuori. La depressione ci fa stare male e vorremmo sbarazzarcene in fretta. Magari ti imbarazza parlarne, con familiari, amici o colleghi di lavoro. Per magra che possa sembrarti questa consolazione, ricordati che non sei solo: ogni giorno milioni di persone combattono con questa condizione.  


I sintomi di uno stato depressivo possono manifestarsi su diversi piani: pensieri, emozioni, comportamenti e sensazioni corporee. Dal punto di vista del pensiero la persona attiva un dialogo interno in cui si dice che non vale nulla; si sente fallita, in colpa, pensa di essere la causa del proprio fallimento e ripete a sé stessa che è inadeguata. Si auto punisce dicendosi che ha sbagliato tutto, che si merita di fallire, che è colpa sua. Pensa che gli altri, invece, siano persone migliori, capaci, adeguate. Vorrebbe sentirsi soddisfatta e appagata come loro ma crede che non ci riuscirà. Dal punto di vista emotivo, la persona depressa prova sentimenti di tristezza, colpa, inadeguatezza, rabbia rivolta verso sé. Prova un angoscioso vuoto che non riesce a riempire. Nulla ha più senso e il futuro appare nero, visto con sguardo pessimistico. Non riesce a godere di nulla, neppure di quelle cose o relazioni che un tempo le davano gioia. Sembra che la soddisfazione, il godimento, la spensieratezza e la leggerezza siano definitivamente scomparsi dalla propria vita. Da un punto di vista comportamentale, la persona depressa preferisce restare in casa in una giornata di sole, rinuncia a uscire con gli amici di un tempo, lascia cadere appuntamenti, occasioni di sviluppo personale, professionale e relazionale e si pone in un isolamento  chiuso che le impedisce di incontrare persone e fare nuove esperienze. 


Molto frequentemente, per lenire questi penosi vissuti inizia ad abusare di alcolici o altre sostanze, oppure si abbuffa per consolare un vuoto che non riesce a consolare. Arriva a pensare che non abbia più senso vivere e, nei casi più gravi, che sarebbe molto meglio morire. Sul piano fisico la persona depressa sperimenta un depauperamento della propria energia vitale, che sente scarsa o del tutto assente. I suoi movimenti diventano lenti, ogni movimento può diventare faticoso, a volte insormontabile, fino ad arrivare a rimanere nel proprio letto per tutto il giorno. Il volto appare spento, assente, la voce monotona. E' come se la vita (la vitalità) se ne fosse andata. La sessualità è appiattita, si svuota della sua passione e spesso viene rifiutata, non goduta e/o vissuta come un dovere a cui sottoporsi controvoglia. La passione di un tempo sembra svanita. La persona può sperimentare insonnia o ipersonnia, si abbuffa di cibo oppure lo rifiuta risolutamente.   


Chi vive accanto a una persona severamente depressa prova alternativamente sensi di impotenza e di rabbia. Cerca di scuoterla, di riattivare la sua vitalità, di stimolarla a riprendere contatti sociali, a mettersi in contesti stimolanti, a riprendere un lavoro; ma constata che ogni sforzo è destinato a naufragare nell'abisso oscuro della depressione della persona amata. 

Riconoscere di avere un problema di dipendenza è il primo passo verso la luce. Forse non ce ne siamo accorti, è cominciata lentamente, quando eravamo certi che "non fosse un problema". "Smetto quando voglio" è una delle possibili filastrocche che ripetiamo a noi stessi e a tutti quelli che ci vogliono bene, quando siamo sicuri che il consumo di alcol, cocaina, cannabis, eroina, ecc...  non abbiamo alcuna influenza sulla nostra vita. 

Poi, se il problema diventa più serio, cominciamo a fare litigi che riguardano l'uso della sostanza con le persone che ci stanno intorno: partner, genitori, figli.... Ci sentiamo arrabbiati e incompresi da loro, che sono così noiosi e vogliono controllarci. 

E poi il nostro dialogo dentro di noi continua...:

"Ce la posso fare benissimo da solo, in fondo che mi importa di loro? Meglio lasciarli perdere! Anche se in qualche momento lo penso pure io che sarebbe meglio se la smettessi con questa roba, e mi sento pure in colpa per questo...
Ma in fondo nessuno mi capisce e questo mondo fa schifo! 

Ora che mi sento arrabbiato/triste/deluso, è il momento buono per bere, fumarmi uno spinello, farmi una striscia o una dose, ecc... Quando uso la sostanza sto davvero bene! Mi sento a mio agio con me stesso e con gli altri: mi posso pure permettere di essere simpatico, di approcciare nuove persone, di andare in cerca di nuovi stimoli. E' così che voglio sentirmi! E tutto il resto può pure andare a quel paese... Peccato solo per come sto quando l'effetto finisce. Lo tollero sempre di meno... devo stare attento a non rimanerne senza, soprattutto quando sono "girato male".

Al lavoro, non ce la faccio più. Sono stanco oggi, non me la sento proprio di andarci. Il capo mi stufa, non lo tollero più. Mi chiede cose che non voglio fare. I miei colleghi mi guardano male, pure i miei amici mi giudicano, parlano male alle mie spalle. Meglio che me ne stia a casa qualche giorno. Meglio starmene da solo che sentire quei deficienti che urlano senza capire nulla o parlano alle mie spalle. In fondo non capiscono niente neanche loro. Nessuno può capirmi. Pretendono solo e basta. Non sanno quanto sia difficile la vita... 

Ora sono proprio nella merda... Non so proprio come ho fatto a ridurmi così... Non c'è più scampo, sono finito..." 

Il triste esempio riportato non ha certamente la pretesa di spiegare tutti i vissuti emtivi, le motivazioni e i pensieri di chi ha la sfortuna di essere affetto da una dipendenza da sostanze. Questa dolorosa sofferenza interiore può essere però l'inizio di una spirale negativa che conduce la persona a sperimentare sempre maggiore solitudine, a sentirsi additato, evitato, giudicato... A pensare che non si può più fidare di nessuno, che deve soltanto più contare su sé stesso - e, purtroppo, sulla sostanza che lo tiene su. 

Tristemente, molte persone giungono a situazioni ancora più drammatiche: perdono il lavoro,  i propri risparmi; perdono tutte le relazioni importanti: mogli, figli, genitori, amici... fino a trovarsi da soli, magari in strada, senza speranza.

Guarire da una dipendenza si può. Certo, bisogna accettare che non lo si può fare da soli. Occorre tendere la mano, chiedere aiuto. Nei casi più gravi occorre coinvolgere le istituzioni preposte che forniscono un aiuto indispensabile: i cosiddetti SER.D. (Servizi Dipendenze - una volta erano chiamati SER.T.) che includono anche i servizi di alcologia: offrono percorsi riabilitativi, di ascolto, di accompagnamento, l'eventuale inserimento in comunità terapeutiche.

Ciò che è importante è trovare una relazione di cui fidarsi, che offra sostegno, comprensione senza giudizio, guida. 

La psicoterapia è un percorso indispensabile per uscire da una dipendenza, e la si può iniziare in qualsiasi fase ci si trovi nella propria dipendenza. La sostanza d'abuso serve ad alleviare emozioni, sensazioni dolorose o molto fastidiose che non si sanno gestire diversamente. Nel percorso psicoterapeutico si affrontano le motivazioni profonde, le vicissitudini che hanno condotto a fare uso di quella determinata sostanza per poter stare meglio, si guarda in faccia al dolore passato e a quello presente. 

E, insieme, si cercano nuove strade, si costruiscono percorsi di speranza verso una vita luminosa, dove finalmente c'è spazio per i propri bisogni, per i propri sogni e aspirazioni e dove finalmente sappiamo che non siamo più soli!

L'Analisi Transazionale (AT) è un'estesa teoria della mente, dello sviluppo umano e delle relazioni, sviluppata a partire da solidi presupposti filosofici di base e corredata da un'ampia varietà di metodi di intervento. Elaborata da Eric Berne intorno agli anni 60 a partire dalla psicoanalisi Freudiana, dalla quale ancora attinge contributi originari e contemporanei, è stata sviluppata fino ai giorni nostri da innumerevoli Autori che la hanno arricchita di contributi teorici e metodologici innovativi, al passo con le neuroscienze e con le moderne correnti psicologiche, avendo anche attinto contributi da discipline diverse come la Gestalt, la Bioenergetica, la terapia Reichiana, Rogersiana e la Terapia Esistenziale.

Qualche principio teorico...

La vastità teorica dell'Analisi Transazionale è talmente imponente e dinamica che risulterebbe impossibile sintetizzarla in poche righe. Credo tuttavia utile descriverne alcune nozioni teoriche fondamentali per consentire al lettore di comprenderne (magari intuitivamente) alcuni concetti di base, al fine di aiutarlo a familiarizzare con il pensiero analitico transazionale.

Le posizioni esistenziali

Utilizzando le parole di Eric Berne, "ogni individuo nasce principe o principessa", ovvero porta in sé una positività intrinsecala capacità di entrare in relazione, la capacità di pensare e di tracciare il proprio piano di vita attraverso le proprie decisioni. Ogni individuo, per disastrosa che possa apparire la sua esistenza, porta in sé queste caratteristiche ed è degno di essere rispettato, amato e desiderato per il semplice fatto di esistere e di possedere tali qualità ontologiche. E' la vita purtroppo che, a partire fin dalle prime interazioni (quando il bambino è nella culla, allattato, tenuto in braccio o ignorati, compreso o incompreso, nutrito, abusato, lasciato libero di esplorare o inibito, invaso, eccessivamente responsabilizzato, traumatizzato, ecc...) influisce sull'individuo, il quale abbandona la propria natura di "Principe o Principessa" prendendo decisioni (per la maggior parte inconsce) che lo portano a diventare "Rospo o Ranocchia" (Berne, E. 1972)

Ogni individuo ha una chiara percezione intuitiva di sé stesso: può sentirsi adeguato, amabile, in pace con sé stesso e amarsi per com'è - definiamo sinteticamente questa situazione come "sentirsi OK". Alternativamente può avere la percezione opposta: sentirsi inadeguato, sentire di non andare bene per com'è, sentirsi non amabile e quindi non accettarsi per le proprie caratteristiche. Definiamo in modo sintetico questa posizione con il termine "non OK".

Lo stesso concetto si applica alla percezione degli altri: possono essere vissuti come "OK" (amabili per come sono, adeguati, desiderabili, affidabili) o "non OK" (inadeguati, inferiori, inaffidabili, pericolosi, cattivi, ecc...).

La combinazione delle due componenti (rispetto a sé e agli altri) dà luogo alle posizioni esistenziali di ciascun individuo:

  • Io sono Ok/ Tu sei OK: è la posizione sana, dove si vive con sé stessi e con gli altri in armonia e si riescono a stabilire solide relazioni, vissute con intimità, soddisfazione, leggerezza e intensità.
  • Io sono non-OK / Tu sei OK: definita posizione depressiva, si vive sé stessi con un senso di inadeguatezza e inferiorità, non accettando le proprie caratteristiche vissute con disprezzo e colpa, mentre si percepisce l'altro come adeguato, capace, perfetto, invidiabile. 
  • Io sono OK / Tu sei non-OK: si ha un senso di adeguatezza di sé stessi mentre si svaluta l'altro, ritenuto inferiore o indegno (posizione narcisista); oppure avvertito come pericoloso, indegno di fiducia, fonte di inganno o di danno (posizione paranoide)
  • Io sono non-OK / Tu sei non-OK: cosiddetta posizione "futile" e corrispondente a copioni di vita più distruttivi, nei quali si ha la concezione di non essere adeguati e che neanche gli altri lo siano. La vita appare dunque indegna e pervasa di sofferenza e malessere.

Tutti gli individui passano un po' del proprio tempo in ognuna delle 4 posizioni esistenziali: esistono tuttavia una o due posizioni "preferite", dove ci si riconosce più frequentemente nella maggior parte dei giorni della propria vita. 

Gli stati dell'io

L'Analisi Transazionale teorizza la personalità come formata da sottosistemi, definiti "stati dell'io". Ogni stato dell'io può essere definito come un sistema di sentimenti che motivano un corrispondente insieme di modelli di comportamento (Berne, 1961, 9). Ogni stato dell'io contiene dunque pensieri, emozioni e comportamenti. Distinguiamo tre stati dell'io con caratteristiche strutturali e funzionali ben precise:

  • Stato dell'io Genitore: corrisponde a un insieme di pensieri, emozioni e comportamenti introiettati dalle importanti figure di attaccamento (diventati parte integrante della personalità). L'individuo può agire conformemente all'introietto (cosiddetto Genitore Attivo, ovvero si comporta esattamente come si comportava il padre o la madre in una determinata circostanza) oppure può comportarsi e vivere la propria vita come se fosse costantemente sotto l'osservazione ed il giudizio del proprio genitore storico (cosiddetto Genitore Influenzante). Da un punto di vista funzionale può mettere in atto comportamenti critici con sé stesso e con gli altri (Genitore Critico) e/o comportamenti affettivi (Genitore Affettivo) come capacità di prendersi cura, di guidare, proteggere e di nutrire, sé stesso e gli altri. Nel proprio Genitore interno si trovano anche pregiudizi, norme, sistemi di comportamento legati alla propria cultura di appartenenza, capacità di proteggere/proteggersi.
  • Stato dell'io Adulto: è lo stato dell'io corrispondente alla propria realtà attuale. Contiene pensieri, emozioni e comportamenti che sono appropriati al "qui ed ora" della persona in quel determinato momento della sua vita biologica. E' lo stato dell'io che consente la valutazione obiettiva della realtà ed esprime la parte logica e razionale tenendo conto dei propri bisogni, sentimenti e valori. Quando si è nello stato dell'io Adulto si risponde alle situazioni di vita con le piene facoltà e con tutto il potenziale dell'individuo. Operare dal proprio stato dell'io Adulto permette di vivere una vita autonoma, contraddistinta da intimità, spontaneità e consapevolezza.
  • Stato dell'io Bambino: è dato da un insieme di pensieri, emozioni, comportamenti e reazioni somatiche che corrispondono a reliquie dell’infanzia; quando lo stato dell'io Bambino è attivo, l'individuo ripropone comportamenti, sentimenti (modi di sentirsi) e pensieri che sono legati a un particolare momento o epoca di sviluppo, sebbene declinati nella circostanza attuale e solo apparentemente consoni alla realtà. Nello stato dell'Io Bambino risiedono elementi molto ricchi della personalità: i bisogni fondamentali dell'uomo (bisogno di contatto, di stimoli, di relazione e di strutturazione del tempo), la predisposizione ad amare e ad essere amati, il bisogno di esprimere la propria identità unica e particolare, la creatività, la fantasia e la vitalità, il desiderio di esplorazione e conquista, il desiderio di piacere ecc.. Da un punto di vista funzionale  il Bambino può manifestarsi come Adattato (in risposta alla presenza Genitoriale) quando rinuncia a parti di sé per conservare la relazione con la persona accudente; oppure come Libero, detto anche Bambino Naturale,  quando esibisce forme spontanee e autonome di espressione di sé e di comportamento, esprimendo tendenze creative, rabbia o affetti spontanei.

I contenuti dei tre diversi stati e dell'io e le relazioni esistenti tra gli stessi sono alla base della determinazione del benessere o della psicopatologia dell'individuo. Un esempio, deliberatamente semplificato per permetterne una migliore comprensione, è quello di una giovane donna che vive con estrema ansia i propri rapporti sessuali: da una parte avverte il proprio desiderio di godimento, di fusione fisica ed emotiva con il proprio partner (istanza del proprio stato dell'io Bambino), ma dall'altra è pervasa dal senso di colpa nel permettersi di godere del rapporto (moralità colpevolizzante introiettata nel proprio stato dell'Io Genitore, proveniente dalla madre rigida). Il risultato è l'incapacità di godere del rapporto, di raggiungere l'orgasmo, il possibile sviluppo del senso di colpa, manchevolezza e immoralità, i quali possono esitare in sentimenti di vergogna e inadeguatezza, che a loro volta possono manifestarsi in uno stato ansioso e/o depressivo. Tale stato può diventare poi motivo di problemi di coppia o familiari.


Il Copione di vita

Sorge spontanea la domanda sul perché le persone rimangano attaccate a schemi di vita fissi che sono causa di sofferenza. Perché una donna esausta della propria relazione affettiva non la chiude per cercare un nuovo compagno? Perché un individuo che desidera ardentemente progredire nella propria carriera non fa altro che constatare i propri fallimenti lavorativi? Perché una donna nonostante cambi i propri partner si fidanza sempre con uomini alcolizzati che la tormentano? E perché un uomo single che ricerca intensamente una compagna non riesce a impegnarsi in alcuna relazione continuando a rimanere single? 

A volte gli schemi fissi sono ancora più dannosi: ad esempio, un ragazzo continua a usare alcol o droghe nonostante sappia di distruggersi, una donna rimane in una relazione nonostante le violenze subite, un malavitoso continua a mettere in atto crimini nonostante i tanti anni spesi in prigione... 

Eric Berne getta le fondamenta dei presupposti teorici che danno spiegazione degli schemi ripetitivi della vita: definisce "copione" un piano di vita inconscio, basato su decisioni prese nell'infanzia, rinforzato dai genitori e confermato dagli eventi di vita successivi (Berne, 1972: "Ciao...e poi?"). Numerosi autori successivi ne hanno ampliato il significato, integrandolo con nuovi punti di vista e nuovi significati. Il concetto di copione è dunque estremamente ampio e impossibile da sintetizzare esaustivamente in questa sede. Ritengo tuttavia utile dare alcune informazioni sintetiche per facilitarne un'iniziale comprensione intuitiva.

Il piano di vita inconscio viene elaborato in età infantile quando, durante l'interazione con l'ambiente (le persone della propria famiglia) il bambino comincia a formarsi convinzioni su di sé, sugli altri e sul mondo. Sulla base delle proprie convinzioni inconsce prenderà delle vere e proprie decisioni operative (anch'esse per la maggior parte inconsce). 

Può ritenere ad esempio di sentirsi in diritto di ottenere qualunque cosa dagli altri e avere una percezione dell'altro avvertito come inferiore. Deciderà (inconsciamente) che nella sua vita otterrà tutto ciò che desidera, rinunciando a qualsiasi idea di moralità (personalità narcisistiche e antisociali). Oppure ad esempio si convincerà di non valere nulla e di non meritarsi l'amore di altre persone (personalità depressive) decidendo di rinunciare al proprio successo personale e relazionale.

A partire dalle posizioni esistenziali suddette quindi, l'individuo si formerà un proprio piano di vita inconscio, che prevede ad esempio se la persona resterà da sola o se si fidanzerà, che tipo di partner sceglierà, se avrà una famiglia o se resterà da solo, quale tipo di lavoro assumerà e se avrà successo, se realizzerà i propri desideri più profondi o se vi rinuncerà per tutta la vita. Berne ipotizzava che il piano di vita inconscio prevedesse persino "come" la persona morirà e chi avrà intorno. Molto cinicamente Berne suddivideva i copioni in "vincenti" (colui che realizza i propri desideri) , "non vincenti" (colui che rinuncia ai propri desideri pur non distruggendo la propria vita) e "perdenti" (coloro che rinunciano ai propri bisogni e desideri operando scelte gravemente distruttive).

Ci si può chiedere a questo punto: si è destinati ad un futuro senza speranza oppure si può cambiare strada, uscire dal proprio copione e realizzare desideri, bisogni e aspirazioni che si avvertono profondamente? La risposta è SI'! Anzi, il copione di vita rappresenta non solo programma di vita inconscio, ma anche il modo migliore che abbiamo trovato da bambini per far fronte alle frustrazioni e ai traumi che abbiamo subito. In altre parole, non saremmo sopravvissuti se non avessimo strutturato un copione. Ciò che occorre fare oggi è comprendere come e perché ce lo siamo formati, a cosa ci è servito; per poi capire che la messa in atto del copione oggi non solo non ci protegge più, ma ci impedisce di realizzare noi stessi. Avviene a quel punto una ristrutturazione profonda delle proprie convinzioni consce e inconsce rispetto a sé stessi, agli altri e al mondo e si prendono nuove decisioni di vita

Ad esempio, posso smettere di credere di essere inadeguato, di non essere amabile, di valere meno degli altri e posso finalmente sentirmi soddisfatta/o di me stesso. Questa nuova posizione esistenziale, sentita nel profondo, mi consentirà, senza che neanche me ne accorga, di scegliere partner più adeguati, di candidarmi per un lavoro più ambizioso, o di liberarmi da relazioni che mi stavano opprimendo.   

Oppure, ad esempio, mi permetterà finalmente di cominciare a fidarmi degli altri, di abbandonare sentimenti di ansia e sospettosità, di dubbio e pericolo, permettendo a me stessa/o di essere spontaneo e intimo senza il timore di esserne danneggiata/o. 

L'uscita dal copione è un processo graduale, che richiede pazienza. E' un viaggio all'interno della propria emotività e del proprio piano di vita inconscio. Consiste nel ritrovamento di sé stessi e nella realizzazione di quei "principi" e "principesse" che un tempo eravamo e che possiamo finalmente ridiventare!  

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